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La valvola termoionica: le origini del mito



16 novembre 1904, Londra. Apparentemente un giorno di quotidiana routine per i londinesi del tempo. Ma si sa, le apparenze ingannano. La nostra storia -eh sì perché ci riguarda tutti- comincia allo University College di Londra dove John Ambrose Fleming, un rinomato docente appassionato di elettrotecnica, mette a punto il primo componente elettronico attivo della storia: la valvola termoionica o, per i più avvezzi, diodo a vuoto. Consta di un filo metallico riscaldabile e due terminali, un catodo e un anodo, il primo coincidente (più o meno) con il filo stesso e il secondo più esterno immerso nel vuoto spinto. Il principio di funzionamento? Relativamente semplice: sfruttare un metallo riscaldato per fargli emettere elettroni verso un’altra regione a più alto potenziale, ossia l’altro terminale; al contrario, una polarizzazione opposta, cioè con l’anodo a potenziale minore rispetto al catodo, non farebbe scorrere alcuna correte perché l’anodo respingerebbe le cariche.


Circa un paio d’anni più tardi viene aggiunto dall’americano Lee De Forest, un individuo dagli interessi decisamente variegati, un altro terminale metallico, detto griglia, per modulare il passaggio di carica tra catodo e anodo. Nasce così il dispositivo detto “triodo”. I più esperti sapranno leggere fra le righe un antenato del moderno transistore e per i novizi si può pensare ad una sorta di “rubinetto per gli elettroni”.


E poi cosa è successo? E’ iniziato tutto, o meglio è continuato in maniera diversa. A gettare le basi del lavoro erano già stati Tesla, Marconi ed Hertz (per citare i più noti) con studi e applicazioni su sistemi di trasmissione a lunga distanza mediante onde radio, ma nessuno di loro aveva mai preso le distanze in maniera così marcata dall’elettrotecnica, come invece aveva fatto Fleming. E le ripercussioni non si fecero attendere, anzi lo stesso Marconi fu tra i primi a riconoscere il grande potenziale dell’invenzione dell’inglese.


Insomma, già da questo breve sommario è evidente che l’elettronica sia una scienza relativamente giovane se paragonata alla fisica o all’analisi, ciononostante la sua crescita nell’immediato futuro rispetto a dove l’abbiamo appena lasciata sarà rapida come guidata da una buona stella. Ma per il seguito, cari lettori, vi rimando ai prossimi articoli.


Dobbiamo molto ai nostri “colleghi” inglesi e americani, se non altro per aver aperto le porte all’elettronica che oggi ancora più di ieri fa sentire la sua importanza. Ma in fondo si sa e non dovrebbe stupire, l’arte anglosassone ha saputo far parlare di sé molte volte e ampiamente. Già, perché in fondo di questo si tratta. Arte. Una scienza pratica che cerca di muovere tra due punti diversi qualcosa di così piccolo da non poter essere visto, il bizzarro amplesso delle geometrie negli schematici e la pervasività nella vita quotidiana: tutti elementi capaci di far risuonare le fibre di scienziati, ingegneri e anche semplici appassionati. Elettronica.


P.S. Lascio al lettore volenteroso che si fosse spinto fino alla fine di questo breve ma a me molto caro articolo un aneddoto interessante a proposito delle valvole termoioniche. Vi dice niente il nome ENIAC? No? L’ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Computer) è il primo esempio di calcolatore general purpose risalente al periodo della Seconda Guerra Mondiale. Il progetto venne finanziato molto probabilmente per scopi bellici a partire dagli anni ’40 e venne poi terminato nel 1946. Ebbene questo “gioiellino” poteva vantare 5000 operazioni al secondo con un m.t.b.f (Mean time between failures) di sole 8 ore, un nonnulla se paragonato a quello odierno di svariati anni, a fronte di 19000 valvole, 1500 relè con un consumo di 200KW per funzionare e una conseguente temperatura ambiente di 50̊.


articolo di Gabriele Magni


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